AGRIGENTO. La procura di Agrigento ha chiuso un troncone delle indagini sul naufragio del tre ottobre 2013 in cui morirono 366 persone, tra cui donne e bambini, annegati di fronte alla spiaggia dell’isola dei Conigli a Lampedusa. Sette gli indagati.
Sono i componenti del peschereccio Aristeus accusati non avere prestato soccorsi agli «occupanti di un barcone alla deriva carico di migranti in palese stato di pericolo dato l’eccessivo numero di occupanti (oltre 520 persone) che in seguito al ribaltamento provocò la morte di 366 migranti». Nell’inchiesta condotta dal procuratore Luigi Patronaggio e dal sostituto Andrea Maggioni, sono indagati il comandante del peschereccio Matteo Gangitano di Mazara del Vallo e i componenti dell’equipaggio Vittorio Cusimano, Fej Kamoun, Bassirou Ndong, Yahya Asfoun, Alfonso Di Natale e Mohamed Zegnani. I sette sono accusati anche di non avere avvisato le autorità dell’imbarcazione carica di migranti.
A diciotto anni di reclusione e una multa di dieci milioni di euro è stato invece condannato il primo luglio 2015 dal gup di Agrigento, per lo stesso naufragio, il tunisino Khaled Bensalem, 36 anni, imputato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio volontario plurimo. Il giudice, come chiesto anche dal pm, ha riqualificato le accuse in naufragio colposo e «morte provocata come conseguenza di un altro reato». L’esclusione del dolo ha evitato una condanna molto più severa.
La pena, peraltro, è stata ridotta di un terzo per effetto del rito abbreviato. Nel processo si è costituito parte civile solo il Comune di Lampedusa. A tradire Bensalem sarebbe stato il colore della pelle. I sopravvissuti, quasi tutti eritrei e quindi molto più scuri di lui, interrogati dalla squadra mobile di Agrigento, lo avevano definito «white man» uomo bianco. Il suo assistente, anch’esso tunisino, sarebbe morto nel naufragio.
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