AGRIGENTO. Avrebbe collegato elettrodi alla lingua delle sue vittime, dopo averle immobilizzate a terra le colpiva violentemente e versava addosso acqua bollente. Così un giovane ghanese avrebbe torturato in modo spietato le sue vittime. Il tutto sarebbe avvenuto durante con le famiglie dei malcapitati che ascoltavano le sevizie al telefono. Così l'uomo chiedeva riscatti più elevati. E’ quanto sarebbe successo in Libia all’interno di una safe house dove i migranti venivano presi in ostaggio prima di intraprendere la traversata in mare per le coste italiane. Il responsabile sarebbe un ventenne cittadino ghanese che è stato sottoposto a stato di fermo dopo essere sbarcato a Lampedusa il 5 marzo scorso. E’ accusato di associazione a delinquere finalizzata alla tratta, al sequestro di persona, alla violenza sessuale, all’omicidio aggravato e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, oltre che per i singoli reati che sarebbe stati realizzati insieme con altri trafficanti. Il ragazzo fin da quando è sbarcato sulle coste siciliane ha rischiato di essere linciato da parte di alcuni migranti che lo avevano riconosciuto come uno dei responsabili delle torture subite. Dalle indagini dei poliziotti della squadra mobile di Agrigento, è venuto fuori il dettagli inquietante che le vittime sarebbero state sottoposte a torture, anche in diretta telefonica con i propri parenti, ai quali veniva richiesto il pagamento di un riscatto per porre fine alle sofferenze dei loro cari. Terribili le testimonianze dei migranti: “Ogni volta che dovevo telefonare a casa, lui mi legava e mi faceva sdraiare per terra con i piedi in sospensione e, così immobilizzato, mi colpiva ripetutamente e violentemente con un tubo di gomma in tutte le parti del corpo e in special modo nelle piante dei piedi, tanto da rendermi quasi impossibile la deambulazione. Spesso collegava degli elettrodi alla mia lingua per farmi scaricare addosso la corrente elettrica. Porto ancora addosso i segni delle violenze fisiche subite, in particolare delle ustioni dovute a dell’acqua bollente che mi veniva versata addosso”. Queste sono solo alcune delle atroci esperienze raccontate dai migranti, che hanno determinato i pubblici ministeri Calogero Ferrara e Giorgia Spiri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi, ad emettere, lo scorso 14 marzo, un provvedimento di fermo, che è stato eseguito dai poliziotti agrigentini e convalidato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano. Per alcuni dei reati, consumati interamente all’estero, si è potuto procedere sulla base della richiesta del Ministro della Giustizia.