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Il cardinale Montenegro: crisi di fede davanti ai morti a Lampedusa

AGRIGENTO. Sette anni fa parlò di un San Calogero "clandestino", arrivato, probabilmente, su un barcone. Disse che era giunto "nella nostra terra, senza permesso di soggiorno, con pochi soldi in tasca", ma che "nonostante la sua pelle nera" era disponibile "ad aiutare i fratelli bianchi che lo avvicinavano".

Il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha fatto dell' emergenza immigrazione e dei drammi dei profughi la sua pietra angolare. Più volte ha lanciato moniti ed appelli per una vita all' insegna della tolleranza e dell' immigrazione. E proprio l' immigrazione e Lampedusa sono, praticamente, stati il suo banco di prova. Perché di fronte alle 366 bare di migranti durante il naufragio del 3 ottobre del 2013, a Lampedusa, ha "avuto una grossa crisi di fede". Un momento di vuoto e smarrimento che il cardinale Montenegro ha confidato ad un' aula gremita di studenti, durante il colloquio sulle migrazioni organizzato dal centro Astalli alla Pontificia università Gregoriana.

"Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito - ha raccontato -. Stare sul molo di Lampedusa e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede. Non solo ho sentito Dio lontano, ma non l' ho proprio sentito". Quella stessa sera, l' arcivescovo Montenegro scrisse a papa Francesco. Gli parlò chiaramente: come vescovo avrebbe dovuto aiutare gli altri. Invece si era "ritrovato con il cuore spento".

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