Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Coppia uccisa a Pordenone, movente legato a un diverbio

Furono uccisi Trifone Ragone e la fidanzata agrigentina, Teresa Costanza

PORDENONE. Un astio covato per mesi, da  dicembre 2014 a marzo 2015, durante il quale l'assassino avrebbe  pianificato il delitto fin nei minimi dettagli: è l'ipotesi che  la Procura di Pordenone ha avanzato nella richiesta di arresto -  e che il Gip ha confermato - nei confronti di Giosuè Ruotolo, da  ieri in carcere a Belluno, e della fidanzata, Rosaria Patrone,  agli arresti domiciliari.

Stamani il Procuratore Marco Martani ha spiegato l'origine  del dissidio: «Primo e più grave 'inquinamento della provà è  l'omicidio di Teresa, perchè era Trifone di cui Ruotolo si  voleva vendicare, ma lei avrebbe potuto mettere gli inquirenti  sulla pista giusta raccontando i loro dissidi». Ma perchè  Ruotolo avrebbe dovuto uccidere Trifone Ragone? «Ragone aveva  scoperto che Ruotolo molestava la fidanzata Teresa Costanza  attraverso un profilo Facebook anonimo. Alcuni dettagli della  chat gli avevano dato la certezza che dietro la sedicente  Annalisa ci fosse l'ex coinquilino.

Decise di affrontarlo e ne  nacque una colluttazione dalla quale Ruotolo uscì con ferite a  labbro e volto. Riferendo l'episodio ad alcuni commilitoni, il  caporalmaggiore giurò vendetta mentre Ragone minacciò di  rivolgersi alla magistratura per ottenere giustizia per i reati  che Ruotolo aveva commesso contro la sua Teresa». Secondo  l'accusa è questo il secondo passaggio chiave: se fosse accaduto  realmente, Ruotolo avrebbe visto svanire il sogno dell'imminente  transito nella Guardia di Finanza, faticosamente conquistato e  che avrebbe cambiato il futuro suo e della fidanzata.     Da quel momento ogni azione sembra finalizzata a compiere il  delitto perfetto. Si procura un'arma, si iscrive in palestra per  controllare i movimenti delle vittime, studia percorsi e vie di  fuga. Per sei mesi dopo l'efferata esecuzione il piano sembra  perfetto: gli investigatori brancolano nel buio.

Fino a una  intuizione che dà la svolta: nelle telecamere viene inquadrata  un'Audi A3. È quella di Ruotolo. Cade anche l'alibi fornito più  o meno volontariamente dai due coinquilini. Poche settimane dopo  viene a galla anche la storia della «lezione» che Trifone ha  impartito al collega. Ogni tassello sembra andare a posto, salvo  la cosiddetta «pistola fumante». Perchè è vero che l'arma  ripescata nel laghetto del parco di San Valentino è quella del  delitto, ma come ha ammonito Martani anche oggi, «non ci sono  elementi che la ricolleghino ancora all'indagato seppure sia in  corso un'ulteriore perizia. Non abbiamo dna sulla scena del  crimine nè testimoni oculari che abbiano visto Ruotolo sparare o  disfarsi dell'arma.

Siamo di fronte al più classico processo  indiziario nei confronti di un uomo che ha costellato la propria  ricostruzione di ricordi fantasiosi e incongruenze e che ha  tentato di inquinare le prove, motivo per cui si è resa  necessaria la custodia cautelare in carcere. Medesima situazione  della fidanzata Rosaria, che deve rispondere di favoreggiamento.  Un'accusa che può ancora cadere se decidesse di dire la verità».  Un messaggio chiaro alla studentessa che da ieri è ai  domiciliari a Somma Vesuviana.

Tag:

Persone:

Caricamento commenti

Commenta la notizia