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Agrigento, «Impose il racket all’impresa»: chiesti 14 anni

«Per venti anni la fabbrica, una delle più floride della Sicilia nel comparto, ha fatto gola a tutte le famiglie di Cosa nostra»

AGRIGENTO. Quattordici anni di carcere per sedici anni di estorsione: sono stati chiesti ieri mattina dal pm della Dda Emanuele Ravaglioli nei confronti del favarese Stefano Valenti, 49 anni, unico imputato dell’inchiesta sui taglieggiamenti alla ditta Fauci Laterizi che non ha scelto il giudizio abbreviato. Il processo è in dirittura di arrivo davanti al collegio di giudici della prima sezione penale presieduto da Giuseppe Melisenda Giambertoni con a latere Maria Alessandra Tedde e Giancarlo Caruso.

«Per venti anni - ha esordito ieri il pm Ravaglioli nella requisitoria – la ditta Fauci, una delle più floride della Sicilia in materia di produzione di laterizi, ha fatto gola a tutte le famiglie di Cosa Nostra. Questo processo è solo l’ultimo tassello di una vicenda molto ampia che è stata scandagliata in diverse indagini grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia che in maniera unanime raccontano come, quando e perché la ditta di Fauci era sottoposta alle pressioni mafiose per pagare il pizzo».

Tre pentiti - Angelo Siino, Giovanni Brusca e Maurizio Di Gati - che hanno contribuito con le loro rivelazioni a fare scattare l’inchiesta sono stati pure processati e condannati nello stralcio abbreviato dell’inchiesta (oggi peraltro è in programma il processo di appello) insieme ad altri tre boss o affiliati - Giuseppe Falsone, Salvatore Di Ganci e Stefano Morreale - e allo stesso Fauci riconosciuto colpevole solo di false informazioni ai pm e falsa testimonianza per avere negato, quando fu convocato dagli inquirenti e in un processo, che la mafia aveva messo le mani nella sua azienda. I pentiti (“tutti pienamente attendibili”, ha spiegato il pm) hanno ricostruito il sistema estorsivo.

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