AGRIGENTO. Il suo impegno e il suo sacrificio incarnano i valori della fede e della giustizia, potrebbe un giorno diventare santo. Procede il processo di beatificazione del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990 sulla Statale 115. Al via le "audizioni" di almeno un'altra decina di testimoni. Dopo i trenta testi indicati dal postulatore della causa di beatificazione, don Giuseppe Livatino - tra cui l'ex presidente del Tribunale di Agrigento Luigi D'Angelo - altre dieci persone sono state chiamate a testimoniare davanti al Tribunale diocesano di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio su indicazione del delegato episcopale ai lavori, don Lillo Argento.
"Un martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede", disse di lui Papa Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993, in occasione della sua visita pastorale in Sicilia, quando alla valle dei templi lanciò l'anatema contro la mafia. Già al funerale l'allora vescovo di Agrigento monsignor Carmelo Ferraro, mettendone in luce le virtù cristiane, ricordò Livatino come "impegnato nell'Azione cattolica, assiduo all'Eucaristia domenicale, discepolo del crocifisso. Perché nelle udienze ci fosse per tutti un richiamo a rettitudine e impegno morale volle un crocifisso", disse il vescovo che poi diede incarico alla professoressa Ida Abate, che del giudice fu insegnante, della raccolta delle prime testimonianze per la causa di beatificazione.
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