AGRIGENTO. Gli attriti non mancavano. A scatenarli: la carenza, sempre più frequente, di soldi, ma anche quei comportamenti o atteggiamenti visti come avventati, poiché mancavano di rispetto. Francesco Fragapane, 37 anni, di Santa Margherita Belice, è stato considerato – dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Agrigento e dai magistrati della Dda – come il vertice della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta. E il suo presunto ruolo non è mai stato messo in discussione, anzi, nemmeno dopo l’arresto del 17 ottobre 2013. «Dall’attività investigativa emerge – ha ricostruito, nell’ordinanza, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo Filippo Serio – che gli esponenti del suo mandamento, quelli della provincia di Agrigento e i vertici delle altre province abbiamo nutrito nei suoi confronti forte stima e considerazione, tanto da rimandare alcune decisioni di una certa importanza alla sua scarcerazione». Eppure il malcontento e gli attriti, appunto, sembravano essere ormai all’ordine del giorno. Specie fra il favarese Giuseppe Quaranta, 50 anni, e Giuseppe Luciano Spoto, 79 anni, di Bivona. Sono le ore 18 del 28 maggio del 2014 quando viene intercettata una conversazione fra Giuseppe Quaranta e Giuseppe Nugara, 52 anni, di San Biagio Platani. Quaranta – secondo le ricostruzioni di investigatori e inquirenti – confidava al suo interlocutore di essersi stancato di dover cercare, in maniera ossessiva, il denaro per conto degli appartenenti a Cosa Nostra e soprattutto per le famiglie che hanno un loro componente detenuto: «… sai qual è il discorso Pinù? … mi sono sdegnato la macchina dello stomaco … andare ad inseguire sempre soldi per qua e per la … mi sono stancato».