AGRIGENTO. Seconda condanna definitiva nell'ambito della vicenda giudiziaria che ha visto come protagonista il commerciante d'auto di Favara Giuseppe Vita finito in un vorticoso giro di usura con minacce e pestaggi. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di uno degli imputati, Lillo Chianetta, che in appello era stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione per l'accusa di usura. Quella di Chianetta (che in primo grado aveva rimediato una pena superiore, a due anni e due mesi) è la seconda condanna definitiva dopo quella inflitta nei mesi scorsi al favarese Sergio Nobile: la Suprema Corte aveva confermato la pena a cinque anni (per tre anni coperta da indulto) per le accuse di estorsione e usura. Nobile avrebbe aggredito fisicamente Vita, puntandogli una pistola alla testa. La circostanza fu anche immortalata da una telecamera. Il favarese si giustificò in aula sostenendo che si trattava di un'arma giocattolo e che lo aveva fatto solo perché Vita lo aveva raggirato e gli doveva restituire un'ingente somma di denaro. Nei giorni scorsi è stato invece discusso il ricorso contro la condanna di Chianetta, riconosciuto colpevole del reato di usura, la cui posizione era stata stralciata fino all'epilogo davanti ai giudici ermellini che hanno dichiarato inammissibili le sue richieste. Il 29 ottobre, invece, davanti al tribunale di Agrigento inizierà l'ultimo stralcio della vicenda giudiziaria con il processo che vedrà imputato Salvatore Simone la cui posizione era stata stralciata dalla Corte d'Appello e trasmessa al Tribunale di Agrigento. Al processo si erano costituiti parte civile con l'assistenza dell'avvocato Arnone sia Vita che i familiari. "La vita dell'intera famiglia - commenta il legale con una nota - è stata devastata da questa vicenda. Vita fu pestato a sangue e subì persino il terrore di avere puntata una pistola alla tempia. La Corte - aggiunge Arnone - ha adottato, anche nei confronti di Chianetta, la formula della inammissibilità del ricorso, la stessa con la quale, lo scorso maggio, erano stati respinti i ricorsi di Nobile e dell'imputata Rita Onolfo confermando la condanna per il primo e la prescrizione per Onolfo. Tutti gli altri imputati - conclude il legale di parte civile - hanno beneficiato della prescrizione". Il processo è scaturito dalle denunce del commerciante che ha raccontato di essere stato vittima dell'usura per cinque anni (dal 1996 al 2001) e di avere subito violenze ed estorsioni. Raccontò di avere avuto necessità di denaro per riparare i danni causati da una forte grandinata alle sue auto esposte per la vendita. Gli imputati, a loro volta, si sono sempre difesi ribaltando la versione dei fatti e sostenendo in alcuni casi di essere stati raggirati dallo stesso Vita.
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