SCIACCA. Contrasse l'epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto: il tribunale stabilisce un risarcimento per i familiari. I giudici della terza sezione civile di Palermo hanno condannato, in solido tra di loro, il ministero della Salute e l'assessorato regionale alla Salute a pagare a una famiglia empedoclina 770mila euro a titolo di danni non patrimoniali, morali ed esistenziali subiti a causa della morte del loro congiunto, F.B., avvenuta ad appena 45 anni a causa del contagio del virus. La sentenza arriva dopo un pronunciamento analogo a favore degli stessi eredi che avevano ottenuto la liquidazione di 300mila euro. La malattia sarebbe stata trasmessa all'ospedale di Sciacca in seguito a una trasfusione nel 1985. Già nel 2006 l'uomo, con l'assistenza degli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello, aveva intrapreso una causa contro il ministero della Salute e l'assessorato regionale ma non è riuscito ad avere giustizia in vita perché il virus è degenerato in un tumore al fegato che lo ha stroncato dopo un aggravamento improvviso. La battaglia processuale è stata continuata dagli eredi che, dopo il decesso del congiunto e dopo avere conseguito un primo risarcimento di 300mila euro, hanno agito per ottenere il danno da «perdita parentale». Il ministero della Salute e l'assessorato regionale alla Salute si sono difesi sostenendo di non avere alcuna colpa perché «all'epoca della trasfusione, nel 1985, il virus dell'epatite C non era stato ancora classificato; dunque, non essendo ancora conosciuto dalla comunità scientifica non sarebbe stato possibile prevenirne la diffusione». Una tesi difensiva che è stata più volte esposta in procedimenti di questo tipo ma che è stata bocciata dal tribunale di Palermo che ha invece ritenuto validi gli argomenti sostenuti dai legali dei danneggiati. I giudici della terza sezione civile hanno quindi condannato i due enti a risarcire la moglie e le due giovani figlie dell'empedoclino a pagare loro 770 mila euro. «Di recente - spiega l'avvocato Farruggia - con sentenza resa l'11 marzo 2014 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha affrontato, sia pure con riferimento ad un caso di amianto, il problema della decorrenza della prescrizione nel caso di danni che si manifestano, come le epatiti post-trasfusionali, solo molti anni dopo il compimento dell'illecito che li ha provocati. Pur non essendo ancora noto il testo integrale della sentenza, - spiega il legale che ha curato molti casi analoghi - sembrerebbe che la Corte abbia sancito, in linea con quanto già stabilito in materia di danni da sangue infetto dalla Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che, pur essendo legittimo assoggettare i diritti al risarcimento di un danno ad un termine di prescrizione, in quanto questo corrisponde a indubbie esigenze di certezza dei rapporti giuridici, in questi casi, - aggiunge l'avvocato Angelo Farruggia - il termine decorre solo da quando sia scientificamente dimostrato che il danneggiato abbia assunto la piena consapevolezza di avere contratto una certa patologia e che questa sia da ricondurre a un determinato fatto illecito».