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Allarme terrorismo, il cardinale Montenegro: “Gli infiltrati non arrivano sui barconi”

Il vescovo di Agrigento recentemente nominato cardinale: «La guerra non è la via migliore per avere la pace. Gli immigrati non sono gente di serie B»

PALERMO. Un aumento della pressione migratoria su Lampedusa e la consapevolezza di venti di guerra che soffiano in Libia, proprio di fronte alle coste della sua diocesi. Dopo la gioia e la festa per il concistoro in cui è diventato cardinale, l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro torna a casa consapevole della gravità del momento storico che si sta vivendo. Ieri, con un gruppo di pellegrini della sua diocesi, ha lasciato Roma in pullman per raggiungere Pompei, dove ha celebrato una messa nel santuario mariano, ultima tappa prima di rientrare in diocesi, dove non ci sarà nessuna cerimonia d’ingresso solenne, nello stile di sobrietà che lo contraddistingue. I problemi da affrontare sono tanti e si intrecciano con le sorti dell’altra sponda del Mediterraneo. Il cardinale Montenegro presiede la commissione per le Migrazioni della Conferenza episcopale italiana e la fondazione Migrantes. E invita a «non cercare la pace con la guerra».

Papa Francesco, mentre le consegnava berretta rossa e anello, le ha ricordato di continuare a «occuparsi dei poveri». Come l’ha interpretato?

«L’incarico che mi affida mi è gradito, perché l’ho sempre fatto. Dico sempre che, se dovessimo togliere dal Vangelo le pagine che riguardano i poveri, resterebbe solo la foderina. È un sentiero obbligato da percorrere».

Bergoglio ha detto che la parola cardinale evoca il cardine, non una cosa accessoria come una onorificenza, ma un perno essenziale. Cosa significa per lei?

«Che questo servizio a cui sono chiamato rappresenta un cardine di una porta, un oggetto importante, ma non appariscente, che deve servire ad aiutare chi si avvicina. Questo vuol dire che devo tenere la porta sempre aperta».

Cosa ricorderà di questi giorni particolari a Roma?

«Mi ha commosso l’affetto di tutti coloro che sono venuti da Agrigento, da Messina, da Barletta, per starmi vicino. Ho vissuto questi giorni come circondato da un grande abbraccio. Non mi aspettavo tanto calore, mi ha commosso».

La situazione nel Canale di Sicilia è peggiorata. Dopo la tragedia della scorsa settimana, si annuncia un aumento degli arrivi di migranti sulle nostre coste e dei soccorsi da effettuare in mare. Cosa pensa di fare?

«Non so ancora cosa avrò la possibilità di fare. Sono i tecnici e i politici che devono agire. Posso solo continuare a invitare la popolazione all’accoglienza. E per i credenti è importante affidarsi alla preghiera».

Quale svolta occorre da parte dell’Italia e dell’Europa?

«Siamo ancora sul piano difensivo, vorremmo evitare questo incontro, abbiamo paura che diventi scontro. In realtà è la storia che ci chiede che ormai una società non può che essere multiculturale. Noi ancora trattiamo l’immigrazione come un’emergenza e facciamo di tutto per evitare di considerarla una cosa normale, che rientra in un contesto di globalizzazione. Perché posso spostare una montagna di denaro o di merci con un clic, ma quando si tratta di persone ognuno deve stare al proprio posto? Perché noi siamo quelli di serie A e gli altri di serie B? Credo che l’Italia si sia distinta per la prima parte dell’accoglienza, ossia salvare le vite, ora c’è da costruire la seconda parte: permettere a chi arriva di camminare con gli altri».

L’aumento del terrorismo internazionale, però, fa guardare con occhi preoccupati a coloro che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo.

«Il rischio c’è, ma se il terrorismo vuole arrivare lo farà solo attraverso i barconi? Noi abbiamo smerciato la mafia, l’abbiamo fatta arrivare in altre terre, sia con le navi e le valigie di cartone, sia con gli aerei. I terroristi non hanno bisogno dei barconi per invadere il mondo. Dire che tutti gli immigrati sono dei terroristi è come dire che tutti i nostri emigranti sono mafiosi».

Si parla insistentemente di intervento militare in Libia per fermare l’Isis, che minaccia direttamente Roma. Ritiene sia una soluzione?

«La guerra non aiuta mai la pace. La pace che si sostiene con le armi è destinata a durare poco. La guerra non ha mai risolto i problemi, li ha accresciuti. Lo dimostra ciò che sta accadendo in Ucraina».

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