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Agrigento, interdittiva a Girgenti Acque. Il prefetto: "Rischio infiltrazione mafiosa"

"Sono emerse a nuova luce frequentazioni di Marco Campione con soggetti appartenenti o comunque legati a Cosa Nostra. Frequentazioni che, almeno in alcuni casi, risultano provate ed assunte a fondamento di decisioni della magistratura". È questo uno dei passaggi delle 36 pagine dell'interdittiva antimafia firmata dal prefetto di Agrigento Dario Caputo sul presidente della Girgenti Acque S.p.A., la società privata che dal 2007 gestisce le risorse idriche pubbliche in 27 dei 43 comuni della provincia. Una nuova istruttoria, quella della prefettura agrigentina culminata con il provvedimento di ieri, aperta dopo che, fino al 2015, la liberatoria antimafia alla società Girgenti Acque veniva regolarmente confermata. Ma nel frattempo è intervenuta una nuova inchiesta della procura di Agrigento, ossia quella che, tra gli altri, ha coinvolto anche Nicola Diomede, l'ex prefetto di Agrigento accusato, insieme ad un'altra settantina di persone, di avere in qualche modo aiutato la Girgenti Acque S.p.A

La prefettura di Agrigento, inoltre, nella sua interdittiva elenca una serie di presunte operazioni societarie fittizie che sarebbero state condotte da Campione nell'ambito di quello che è stato definito "sistema del tavolino", quello con il quale Cosa Nostra ha gestito gli appalti pubblici fin dalla metà degli anni Ottanta. Viene citata, anche, la relazione del 2017 della Direzione Nazionale Antimafia, quella che ha individuato tra gli altri anche l'emergenza ambientale tra i settori particolarmente permeabili al rischio di infiltrazioni mafiose. Un settore sul quale Campione ha puntato.

In tale direzione vengono evidenziati i numerosi procedimenti penali in corso sulla presunta mala gestione degli impianti di depurazione in diversi comuni, dove "spicca" l'inchiesta per abuso d'ufficio e truffa ai danni di Campione condotta dalla procura di Sciacca sulla mancata esecuzione dei lavori di riparazione della rete fognaria di Ribera. Situazione che aveva determinato lo scarico delle acque reflue non depurate direttamente in mare. Nessuno dei procedimenti penali elencati dal prefetto nell'interdittiva antimafia si è ancora completato con una sentenza definitiva. Tuttavia, il provvedimento chiarisce che "l'impossibilità di provare la responsabilità in sede penale non preclude affatto, all'autorità preposta all'ordine pubblico, la valutazione dei medesimi fatti sul differente piano della prevenzione e della difesa sociale, qualora, esaminato il quadro complessivo, gli elementi acquisiti siano rivelatori del rischio concreto di condizionamento dell'impresa da parte della criminalità organizzata".

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