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Ong e scafisti, il medico di Lampedusa: "Attivisti lavorano con il cuore"

Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa è al sesto posto

ROMA. «Se c'è qualcosa che non va, lo accerterà la legge. Quello che so io è che queste persone finora hanno salvato centinaia di vite umane. Sono persone che lavorano con il cuore e che spesso rischiano la vita. Dunque, posso soltanto ringraziarli». Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, risponde così a chi gli chiede della polemica innescata dalle parole del procuratore di Catania sul ruolo delle Organizzazioni non governative.

Il suo è il punto di vista di chi conosce bene la situazione: sono anni che salva la vita a centinaia di migranti, anni che accoglie quei disperati sulla banchina del molo di Lampedusa. "Lavoro con le Ong da tempo, li ho visti spesso rischiare la vita - dice - fanno il loro lavoro in maniera egregia, così come le navi militari e della Guardia Costiera. In mare le vite si salvano. Se poi c'è qualcuno che ha collegamenti con i trafficanti, la legge farà quello che deve fare».

Quel che è certo è che serve chiarezza. «Se c'è qualcosa che non va in qualche Ong o in qualche membro e venisse accertato, sarebbe un bene per le stesse Ong, perché sarebbe l’occasione per rendere giustizia a chi lavora con il cuore, senza fare generalizzazioni che fanno solo male».

Secondo Bartolo, però, la polemica sulle Ong rischia di lasciare in secondo piano il problema principale. «Malgrado l'attività lodevole fatta dal 2013 ad oggi, dalle navi militari italiane, da quelle europee e dalle stesse Ong, si continua a morire in mare. Dunque è evidente che questa non è la strada giusta e sarebbe opportuno cambiarla. Bisogna cambiare registro, i trafficanti si continuano ad arricchire sulla pelle di uomini, donne e bambini».

Ma come? «Bisogna andarli a prendere in Africa - risponde il medico - istituendo dei corridoi umanitari. Se non è possibile in Libia per via della situazione politica, bisogna farlo in Tunisia, che è un paese amico. Se tutta la massa di denaro che si investe per le operazioni in mare, senza purtroppo riuscire a salvare tutte le vite, fosse investita nei paesi in cui partono i migranti o sulle corte nordafricane, il problema sarebbe risolto».

Ma fin quando questo non accadrà, «la priorità» è sempre la stessa: «evitare di farli morire». «E' vergognoso - conclude Bartolo - continuare a vedere tutta questa gente che muore in un tratto di mare che ormai è diventato piccolissimo».

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