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Testimone di giustizia assunto a Bivona, polemiche

BIVONA. «Bivona è il mio paese e dovrei solo fregarmene di quelle poche persone che vedendomi parlano, giudicano o altro ... noi stiamo lottando per qualcosa di giusto... non obblighiamo nessuno ad unirsi alla nostra lotta... chi vuole unirsi a noi è ben accetto... a chi non vuole farlo chiedo solo di farsi la sua vita come noi ci facciamo la nostra!!». A scriverlo su Facebook è la figlia ventitreenne del presidente dell'Associazione testimoni di giustizia, Ignazio Cutrò, dopo che, nei giorni scorsi, grazie ad una legge regionale, Cutrò, ex imprenditore che ha denunciato la mafia, è stato assunto nel suo paese, Bivona (Agrigento) ed è stato criticato da alcuni compaesani che, preoccupati per la loro incolumità, lo invitano ad andarsene.

«I miei colleghi di lavoro sono stupendi, solidali - confida Cutrò - e ringrazio in modo particolare la dottoressa Anna Corsello, dirigente generale che mi ha messo a mio agio. Ma in paese c'è anche chi dice che gli fa schifo anche solo sentire il mio nome e questo, ovviamente, addolora».

Il coordinatore del V Comitato della Commissione parlamentare Antimafia, Davide Mattiello, sottolinea come il sistema tutorio dei testimoni di giustizia «vada riformato profondamente», e ricorda che c'è una proposta di legge sul tema all'attenzione della Commissione Antimafia, «non si può più procrastinare», osserva. Mattiello fa inoltre riferimento a minacce al magistrato Marisa Manzini e al testimone di giustizia Michele Tramontana. «C'è un particolare inquietante - osserva - i criminali conoscerebbero la località segreta in cui è protetto il testimone. Sono certo che gli uffici preposti stiano facendo le verifiche e non trascureranno di prendere le iniziative più opportune per tutelare Tramontana e la sua famiglia. Sullo sfondo il grande lavoro di magistrati come la Manzini nei confronti di organizzazioni 'ndranghetiste molto pericolose come i Mancuso, che conosciamo bene per il male che hanno fatto e continuano fare a tanti calabresi onesti. Da parte della politica deve rinnovarsi l'impegno a rompere ogni articolazione tra questi clan e le istituzioni: i Mancuso sono stati campioni nella capacità di tessere relazioni altolocate. Purtroppo sono in buona compagnia».

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