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Mafia ad Agrigento, confisca da oltre 50 milioni per due fratelli produttori di olio

Nel mirino beni mobili ed immobili riconducibili ai fratelli Diego e Ignazio Agrò

AGRIGENTO. La Direzione investigativa antimafia di Agrigento ha confiscato beni mobili ed immobili riconducibili ai fratelli Diego e Ignazio Agrò, rispettivamente di 68 e 76 anni, originari di Racalmuto (AG), ma da anni residenti ad Agrigento, imprenditori nel settore della produzione e della commercializzazione di olio alimentare.

I decreti di confisca, emessi dal Tribunale-Sezione MP di Agrigento, presidente Luisa Turco, nascono dalla proposta avanzata dal procuratore della Repubblica di Palermo. L’attività d’indagine, d’intesa con il procuratore Aggiunto Bernardo Petralia, coordinatore del "Gruppo Misure di Prevenzione" della Dda di Palermo, ha consentito l’individuazione e la conseguente aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati.

I due provvedimenti hanno riguardato beni per un valore stimato, complessivamente, in oltre 54 milioni di euro e comprendono 58 immobili, tra fabbricati e terreni, siti in provincia di Agrigento, a Giardini Naxos (Me) ed a Spoleto (Pg); 12 imprese con sede ad Agrigento e provincia, a Fasano (Br) e Petilia Policastro (Kr), impegnate in diversi settori economici;  56 tra rapporti bancari e postali, nonché polizze assicurative. In Spagna sono stati confiscati 6 fabbricati e 3 imprese, dedite alla produzione e compravendita di olio. I fratelli Ignazio e Diego Agrò erano stati tratti in arresto nel luglio 2007, in esecuzione di Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere emessa dal Gip del Tribunale di Palermo, nell’ambito dell’indagine “Domino 2”, relativa ad una serie di omicidi, consumati all’inizio degli anni ‘90 in provincia di Agrigento, e scaturita dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Maurizio Di Gati, già capo di cosa nostra agrigentina. I due fratelli erano stati indagati e condannati all’ergastolo (e poi assolti dalla Corte d’Appello, dopo il rinvio della Cassazione) per concorso  nell’omicidio dell’imprenditore Mariano Mancuso. Il Giudice, nei provvedimenti preventivi ha evidenziato la sperequazione economica riscontrata tra i redditi dichiarati e l’attività svolta ed il valore del patrimonio dei fratelli Agrò, seppur non “organici”, sono ritenuti contigui alla cosa nostra agrigentina.

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