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Delitto di mafia a Favara: Bellavia evitò il carcere ma non la condanna

Il figlio Calogero, adesso venticinquenne, fu il primo a cadere nella rete degli inquirenti nel corso delle indagini sulla latitanza di Gerlandino Messina

FAVARA. Pochi dubbi sul movente di mafia non solo per le modalità dell'agguato ma anche per l'identità della vittima: Carmelo Bellavia aveva evitato il carcere perché il gip rigettò la richiesta di arresto della Dda ma non la condanna con l'accusa di avere favorito la latitanza di Gerlandino Messina. La vicenda giudiziaria presto lo avrebbe privato della libertà. Il figlio Calogero, adesso venticinquenne, fu il primo a cadere nella rete degli inquirenti.

È lui il giovane, pressoché sconosciuto se non per i suoi trascorsi modesti da calciatore bruscamente interrotti dopo avere sferrato un pugno a un arbitro e rimediato una lunga squalifica, che i servizi segreti avevano individuato come possibile fiancheggiatore del boss. Seguendo Calogero Bellavia i carabinieri, il 23 ottobre del 2010, sono arrivati dritti al latitante delle Cannelle stanato dai militari del Reparto operativo e dal Gis, le "teste di cuoio" dell'Arma. L'irruzione nel covo favarese di via Stati Uniti è scattata dopo un pedinamento a Bellavia che era entrato con una busta con il pranzo ed era uscito a mani vuote. Una scena vista più volte che per gli inquirenti non poteva essere casuale.

"Quando siamo entrati - disse il tenente colonnello dei carabinieri Salvo Leotta durante la conferenza stampa di presentazione dell'inchiesta - non sapevamo esattamente chi avremmo trovato ma era evidente che Bellavia copriva qualcuno e con ogni probabilità si sarebbe trattato di un pezzo grosso". Qualche mese dopo sono finiti sotto inchiesta anche i genitori, la fidanzata e il padre della fidanzata del giovane ai quali veniva contestato di avere sostenuto il boss negli ultimi giorni di latitanza mettendo la casa a disposizione, facendogli la spesa o preparando i pasti. Le due donne coinvolte nella vicenda sono state assolte in primo grado.

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