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Padre Sorge, dal papa alla famiglia, alla mafia: ecco come è cambiata la società

Il gesuita al Rotary di Ribera a colloquio con Giovanni Pepi: “Con Bergoglio lo stile diventa messaggio, Francesco sta riportando la gente alla lezione del Vangelo attraverso la sua semplicità”

Il fenomeno Bergoglio, quello straordinario impatto che il nuovo Pontefice ha avuto sulla gente da quando, quella sera del 13 marzo 2013, ha iniziato a parlare alla folla, radunata in piazza San Pietro, con la semplicità di un «buonasera». E da qui che è partito padre Bartolomeo Sorge, il gesuita impegnato in Sicilia per un decennio, fino al 1996, rispondendo alle domande del condirettore del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi, per descrivere «la rivoluzione di Papa Francesco». L'incontro, nella sala consiliare del Comune di Ribera, è stato organizzato dal Rotary Club cittadino, guidato da Nenè Mangiacavallo. Pepi ha sollecitato in apertura una risposta di padre Sorge proprio su quel primo momento «che ha cambiato tutto». E padre Sorge ha risposto: «Lui ha agito con la sua semplicità, senza fare editti, senza scrivere libri, con il suo esempio. È il Papa che ferma la jeep, abbraccia il ragazzino con l'handicap, la carne di Cristo come lui ama ripetere. Questo è rivoluzionario. Anche rimanere con le scarpe di Buenos Aires, mentre potrebbe avere quelle fatte apposta per il Papa. Sono piccole cose che manifestano uno stile nuovo e molte volte lo stile diventa messaggio. Il Papa sta riportando al Vangelo e questo senza imporre nulla, rispettando la coscienza di tutti. Poi dice: chi sono io per giudicare un omosessuale? È uno che vede i problemi con gli occhi di Dio e non del giudice o del diritto canonico che sono importanti, ma non sono gli occhi di Dio».
Sollecitato da Pepi, Padre Sorge ha evidenziato anche gli ultimi interventi del Pontefice, a partire da quello sulla famiglia: «I bambini hanno diritto ad avere un papà e una mamma». E il no di Bergoglio «ad ogni tipo di sperimentazione educativa». Per padre Sorge «lì il vero principio è partire dalla dignità della persona umana. Ogni persona ha valore di fine e non può mai diventare uno strumento. Quindi sperimentare sull'uomo o fisicamente, per curare malattie, o psicologicamente, non ha senso. La persona umana non può mai diventare strumento perché ha valore di fine». E, rimanendo alla stretta attualità delle dichiarazioni del Papa, che ha chiesto perdono per i preti pedofili, aggiungendo, però, che «le sanzioni devono essere comminate», il gesuita ha detto che questa «è una coscienza nuova. La sensibilità culturale che oggi c'è nella chiesa, nella società - ha ribadito padre Sorge - non tollera più il silenzio, il nascondere. Forse in altre epoche storiche anche certi comportamenti non etici delle famiglie e delle persone si tendeva a nasconderli. Oggi è cambiata la civiltà e grazie a Dio siamo tutti coscienti che le nostre azioni, buone o cattive, hanno una ripercussione sociale. C'è un individualismo trionfante che vorrebbe negare le relazioni interpersonali. Riscoprire questo e tagliare con l'accetta i comportamenti sbagliati e immorali è un dovere in vista del bene comune oltre che del bene delle persone».
Giovanni Pepi ha voluto concludere con una domanda sulla mafia, ricordando il recente incontro tra le famiglie delle vittime e Papa Bergoglio. «Il Papa - ha detto Pepi - ha parlato di mafia un solo giorno e ha ricordato Puglisi come vittima, dicendo che lui è stata una vittima, ma ha vinto. E poi ha parlato della conversione dei mafiosi. E allora il primo punto è il sacrificio come elemento importante della contrapposizione alla mafia. L'altro è l'apertura alla mafia quando dice i mafiosi possono venire in chiesa. Quale rapporto tra questi due momenti alla luce della sua esperienza in Sicilia?». Padre Sorge ha risposto dicendo che «questo è tipico del Cristianesimo. Cristo è uno sconfitto perché muore sulla croce, ma in realtà morendo cambia il mondo. E allora quelli che si sono immolati, i giudici, i servitori dello Stato, sono i veri vincitori. E allora la vittoria maggiore non è tanto il “41 bis” riservato ai criminali, ma il ravvedimento morale di molti che hanno capito, come gli uccisori di don Puglisi, che avevano sbagliato. Il Cristianesimo converte perdendo, vince con le sue sconfitte. Questo è sempre stato nella storia un paradosso. Mai vendetta con chi ha ucciso, ma perdono che salva. La vendetta migliore è il perdono: riuscire a fare di un delinquente un uomo perbene». E infine un pensiero ai giudici Falcone e Borsellino: «Falcone l'ho incontrato una volta. Borsellino non l'ho mai incontrato. La loro memoria vale molto più di un incontro. Sono maestri che hanno insegnato a noi cammini nuovi di generosità e risvegliato le nostre coscienze».

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