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Naufragio di Lampedusa, riprendono le ricerche Il bilancio sale a 194 morti

LAMPEDUSA. Nove cadaveri  all'ora, uno ogni sei minuti, 83 corpi in nove ore di lavoro:  «laggiù sembra Pompei, ci sono pile di uomini e donne uno  sull'altro. È un incubo». Come cala lo scirocco e le onde si  chetano, il mare di Lampedusa si trasforma in un gigantesco  verme che rigurgita morti.    


Lo sapevano tutti che là, ad un miglio e mezzo da quel posto  meraviglioso che è Cala Croce, c'era un inferno. Ma tutti  speravano che i conti fatti dai sopravvissuti del naufragio di  giovedì fossero sballati, numeri buttati lì tanto per dire: e  invece la realtà è peggio del peggior incubo. E dunque a questo  punto è chiaro a tutti che sì, su quella barca c'erano più di  cinquecento persone, 518 per la precisione. Il che significa che  se 155 sono i miracolati che ce l'hanno fatta e 194 i corpi  recuperati, 169 sono ancora a 47 metri di profondità. Il che  significa che, alla fine di quest'orrore, i morti potrebbero  essere 363. Tanti cadaveri quanti ce ne furono nel terremoto che  ha distrutto L'Aquila.     Ma stavolta la colpa dell'ecatombe non è della natura; non  c'è alcun evento improvviso che arriva senza avvisare e contro  il quale si può solo fare prevenzione, costruendo edifici,  scuole e ospedali con i giusti criteri antisismici. Qui la  responsabilità è di un Occidente che si definisce civile ma  pensa di affrontare un problema come quello di chi scappa da  guerre e fame con la repressione. Alzando muri, anzichè  includere. E allora è l'Occidente che deve chiedere perdono e,  soprattutto, trovare le soluzioni affinchè mai più si debba  raccontare una simile strage d'innocenti. Forse stavolta i  politici e i politicanti di professione hanno imparato davvero  la lezione. O molto più probabilmente, davanti a numeri così  enormi, non possono più voltarsi dall'altra parte.    


Così mercoledì arriverà a Lampedusa, per la prima volta, il  presidente della Commissione Europea: Manuel Barroso sarà  accompagnato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano e potrà  rendersi conto di persona come nell'ultimo lembo d'Europa vivono  e muoiono i migranti. Si muove anche l'Italia: il premier Enrico  Letta annuncia che è ora di mettere in campo un rapporto «più  stingente con la Libia», per evitare che da lì partano centinaia  di carrette all'anno. E il ministro per gli Affari Europei Enzo  Moavero sottolinea che l'Italia porterà al prossimo vertice Ue  in programma a fine mese il nodo dell'immigrazione. Per dire  basta a questo scempio e per tentare di far nascere davvero gli  stati uniti d'Europa. L'altra urgenza fondamentale, ormai  l'hanno capito anche i muri, è rivedere la Bossi-Fini, quella  legge che obbliga un magistrato a iscrivere nel registro degli  indagati per il reato di immigrazione clandestina i migranti  sopravvissuti al naufragio. Questa potrebbe essere la volta  buona: il ministro dell'Integrazione, Cècile Kyenge, annuncia  proprio davanti ai morti che il mare restituisce che la  settimana prossima i ministeri competenti si siederanno attorno  ad un tavolo per affrontare il problema e cancellare una norma  che si fonda su un approccio repressivo del fenomeno.    


Si sente alta anche la voce di Francesco. Il pontefice ha  inviato sull'Isola il suo elemosiniere, monsignor Konrad  Krajewski. E durante l'Angelus ha lanciato l'ennesimo grido di  dolore: «Preghiamo tutti in silenzio per questi nostri fratelli  e sorelle, uomini, donne e bambini. Lasciamo piangere il nostro  cuore, in silenzio».    


Quel silenzio che c'è laggiù, in fondo al mare. L'immagine  che i sub di Guardia Costiera, Vigili del Fuoco, Guardia di  Finanza, Marina e Carabinieri vedono è di quelle che non si  cancellano: una massa di corpi pigiati uno sull'altro; un blocco  di carne umana senza più vita; uomini e donne rimasti come  nell'istante della morte. Alcuni sono in posizione fetale, altri  hanno le braccia alzate come a volersi proteggere, altri ancora  sembrano Cristi in croce, con le braccia aperte e la faccia  infilata nella sabbia. Dentro il barcone è ancora peggio:  un'unica massa nera. Immobile.    


«Sono attaccati l'uno con l'altro - racconta uno dei sub - da  vivi non avevano più di 30 cm di spazio a testa. Ci sono pile di  uomini e donne nella stiva, ne togliamo una e sotto ce n'è  un'altra. Non si vede la fine». Li tirano fuori ad uno ad uno e  poi li portano in superficie legati ad una corda alle caviglie,  come si fa con i polli da mandare al macello. «Dentro e intorno  alla barca è ancora pieno. E chissà quanti ancora ne troveremo  quando allargheremo il raggio delle ricerche». 

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